Stato e identità

Fernando Savater è un filosofo spagnolo contemporaneo (è nato nel 1947) e insegna filosofia all’Università Complutense di Madrid.

Tra i suoi libri, Etica per un figlio, I 10 comandamenti del ventunesimo secolo, La vita eterna, e molti altri.

Perché parlo di lui?

Perché sul numero dell’Espresso di fine marzo c’era una sua intervista che mi è particolarmente piaciuta, in special modo, dove parlava di identità nazionale.
Non so se avete presente. Quella di cui si riempie la bocca la Lega Nord, la difesa del cristianesimo, del crocifisso attaccato sui muri, ecc. salvo poi discriminare i propri residenti che pagano le tasse, in italiani e stranieri, e a volte addirittura gli italiani stessi in chi ha più o meno anni di residenza in una città.

Questi leghisti, sindaci, mi fanno veramente paura, ma quello che mi fa più paura è che riescono a cavalcare lo scontento dei cittadini italiani facendolo ricadere sugli stranieri, come se il fatto che che gli stranieri abbiano maggiori diritti nelle graduatorie per case popolari o asili nido, fosse da far ricadere su questi, e non sul fatto che lo Stato preferisce spendere soldi verso altri lidi anziché nel sociale.

Insomma, ecco un paio di risposte dei Savater sul tema che ho sopra citato.

Ma come fare a conciliare l’identità di un paese con le culture dei nuovi arrivati?

Dovremmo dimenticarci dell’identità nazionale e parlare invece di legge democratica. L’identità dei paesi europei è la legislazione democratica. Dovremmo separare l’essere dallo stare. L’identità rientra nella sfera dell’essere: ognuno di noi si considera cristiano, musulmano, ateo, affezionato all’arte, quello che è. Lo stare ha invece a che fare con il mondo di cui le diverse identità convivono. La vera identità democratica è il rispetto dei diritti che garantiscono il riconoscimento dell’istituzione democratica. Se l’identità del singolo travalica l’identità democratica allora bisogna intervenire. (…) La nostra identità culturale deriva dalla separazione tra Chiesa e Stato, tra delitti e peccati. Le identità che ci sono oggi devono sottomettersi all’identità democratica: l’uguaglianza delle persone e la sperazione tra religione e politica. In Spagna il Partito Popolare vorrebbe che fosse firmata una legge speciale, il contratto d’integrazione, ma perché? Non serve un contratto in più: occorre che tutti rispettino le leggi del Paese.

E con le nostre radici cristiane come la mettiamo?

In Europa ci sono radici cristiane, ebraiche, musulmane. Fanno tutte parte dell’Europa. Non possiamo fare un’ Europa “à la carte” che abbia solo le radici che piacciono a noi. La religione in una democrazia è un diritto di tutti e un dovere di nessuno. Questa è la nostra identità culturale. Se la democrazia non è laica non è una democrazia, si converte in qualcos’altro, in una teocrazia leggera magari, ma di certo non è più democrazia.

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Quousque tandem…?

Chi conosce Rosa Parks? Magari il nome non dirà niente ma forse se si racconta la storia a cui ha preso parte, a molti verrà in mente.

Nel 1955 nell’America ancora razzista e segregazionista, Rosa Parks, prese l’autobus per tornare a casa dopo una giornata di lavoro. Gli autobus a quell’epoca erano divisi in due parti, una per i neri e una per i bianchi. Poiché la parte riservata ai neri era piena, scelse un posto nella sezione riservata ai bianchi, che in quel momento era libero. Quando, ad una fermata successiva, salirono altri bianchi, questi ultimi protestarono con l’autista in quanto non c’era più posto e pretendevano che la Parks si alzasse per lasciare il posto a uno di loro. La Parks si rifiutò e, dopo che fu chiamata la Polizia, fu arrestata, per violazione della legge cittadina sulla segregazione. Cominciò allora un boicottaggio dei mezzi pubblici da parte degli afroamericani che durò 381 giorni fino a che la legge non fu abrogata. Nel 1956 la Corte Suprema degli Stati Uniti, decidendo sul caso Parks, dichiarò incostituzionale la legge sulla segregazione razziale.

In questi giorni sembra di essere tornati indietro di più di 50 anni, a quell’epoca in America, o, peggio, ai tempi delle leggi razziali in Italia, quando in alcuni esercizi pubblici era affisso un avviso nel quale c’era scritto “vietato l’ingresso ai cani e agli ebrei”.

Questo viaggio nel tempo è riuscito a farmelo fare un elemento come Matteo Salvini, attuale consigliere della Lega Nord al comune di Milano. Non so se ce l’avete presente: quando parla sembra che abbia la voce impostata da macho.
Cosa ha fatto il Salvini? Ha proposto di riservare dei vagoni sulla metro di Milano ai milanesi, poi una compagna di partito, una certa Raffaella Piccinni è andata anche più in là, come se la proposta del Salvini non fosse abbastanza chiara: “Bisognerebbe riservare dei vagoni agli extracomunitari”. E Berlusconi che fa? Minimizza, è solo una battuta (magari lui è abituato alle sue grandiosi battute), e come al solito chi alza la voce contro queste derive razziste è il presidente della Camera, Fini.

È una vergogna! Come possono esistere tali elementi all’interno di un consiglio comunale, o addirittura in Parlamento? Come è possibile che un Paese che ha avuto milioni di emigranti possa aver scelto di essere rappresentato da tali elementi. Fino a quando continueremo a tollerare questa xenofobia che aumenta sempre più? Dovremo per caso rivedere le stelle di triste memoria da cucire sulle giacche, per cominciare a capire che abbiamo raggiunto il limite?

Piccola nota a margine: chissà gli svizzeri o gli americani in che posto dovrebbero sedersi? Ma forse per loro sarebbe solo un contrappasso, viste quante ne hanno fatte passare ai nostri emigrati…

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Xenofobia galoppante

I dubbi che avevo sulla xenofobia o meno dei provvedimenti sull’immigrazione, sembra che possano essere fugati dal DDL "Disposizioni in materia di sicurezza pubblica" che è in approvazione in Parlamento. Ora ne sono certo. Quando la maggioranza è andata sotto in Senato su tre emendamenti, si è parlato per lo più di due, senza dare troppa importanza al terzo. I primi due erano, uno sulla permanenza nei CPT, che veniva alzata a 18 mesi, e l’altro sulla disponibilità di una somma abbastanza elevata per intraprendere l’attività di lavoro autonomo. Sicuramente discutibili, ma quello che a me ha sorpreso di più è stata l’indifferenza al terzo punto che fortunatamente non è stato approvato (la sorpresa qui dovrebbe essere stata la piccola differenza di voti, invece che un’alzata di scudi da parte dei partiti della maggioranza con un po’ di responsabilità). Volevano permettere il ricongiungimento familiare solo a partire dal 5° anno di permanenza. In pratica, uno straniero viene a lavorare in Italia e può portare la famiglia solo dopo 5 anni. Ditemi se questa non è pura xenofobia. Non ci è bastato quanto hanno sofferto i nostri emigranti con figli rinchiusi nascosti in casa per anni (è appena uscito uno studio svizzero sui figli degli emigranti italiani che fino agli anni 90 non avevano il diritto di portarei familiari e che pertanto spesso hanno fatto entrare clandestinamente i figli per tenerli chiusi in casa per mesi).

Che la normativa possa essere migliorata e possano essere messi dei paletti un po’ più stretti per far sì che chi fa venire i propri familiare abbia sicuramente le risorse economiche per mantenerli, non ci sono dubbi, ma un modifica del genere volta a limitare il ricongiungimento a tutti senza distinzioni è vergognosa. Li si tratta come macchine per lavorare, come braccia svincolate dai rapporti sociali. Sembra veramente che tali decreti vengano effettivamente scritti in osterie dopo aver ascoltato il parere dei clienti abbevazzati che vorrebbero buttarli tutti a mare, salvo poi sfruttarli per le proprie attività.

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Populismo di bassa… Lega

Durante le ultime elezioni un partito politico appena nato (da una scissione da AN), La Destra, ha fatto una campagna elettorale fondata sulle promesse di dare la precedenza agli italiani nell’assegnazone delle case popolari o di posti negli asili nido. Questo anche per cercare di sopravanzare le promesse della Lega e di cercare così di prenderle i voti. Tali argomenti sono però fondamentali nelle città dove la Lega governa e dove cercano di metterli in atto, spesso senza riuscirci (come è accaduto per la città di Brescia dove volevano riservare delle agevolazioni per i neonati solo agli italiani).

Se non ci si riflette sufficientemente si è portati a condividere tali promesse, anche se si è di tendenza politicamente opposta, ma solo un po’ di ragionamento basta per mostrare come tale politica sia ingiusta, demagogica e populista.

Riflettiamoci un po’ su.

Sei un operaio italiano, e vieni chiamato in Belgio per lavorare nelle miniere (dove i belgi non vogliono lavorare). Ti fanno una richiesta di assunzione e parti. Arrivato in Belgio cominci a lavorare e a pagare le tasse sullo stipendio che prendi come i tuoi colleghi belgi. A questo punto però ti dicono: tu non puoi ricevere una casa popolare perché non sei belga.
Ma tu non paghi le stesse tasse del tuo collega che vanno nelle casse dello Stato per dare dei servizi?
Sei solo, all’estero, e decidi di portare la tua famiglia per vivere insieme. Penso sia un diritto fondamentale, non so se sarete d’accordo. Dopo aver dimostrato di avere tutte le carte in regola per mantenerla la fai venire. Quando i tuoi figli sono qua, tu vorresti mandarli all’asilo, magari anche per poter far lavorare tua moglie e dare un futuro migliore ai tuoi figli.
Ma ti dicono: tu sei italiano e solo i belgi possono andare all’asilo nido. Ma come? Non paghi pure tu le stesse tasse?
In Italia spesso gli stranieri sopravanzano gli italiani nelle graduatorie delle case o degli asili, in quanto guadagnano (o dichiarano) meno degli italiani. Allora per ovviare a queste "ingiustizie" cosa pensano alcuni politici? Togliamo dei diritti agli stranieri! In fondo è la soluzione più facile e quella più visibile, e fondamentalmente la più demagogica: gli italiani DOC esultano: qualcuno ci difende ancora (E’ come gridare alla pena di morte non appena succede un delitto efferato).
Non è che questi politici pensano, ma come mai ci sono questi problemi? Non sarà perché non ci sono abbastanza asili nido, oppure abbastanza case popolari? Se ce ne fossero abbastanza queste tensioni pensi che continuerebbero ad esserci?
Inoltre non ci si chiede perché dichiarano salari più bassi? Se guadagnassero tutti secondo contratto, come gl’italiani, quest’ultimi non sarebbero competitivi come gli stranieri nelle graduatorie? Ma non è che agli imprenditori italiani (certo non tutti) fa più comodo pagarli in nero una parte dello stipendio per pagare meno tasse? Certo a quel punto fa comodo anche allo straniero, ma se il datore di lavoro decide di fare tutto alla luce del sole, lo straniero non può esimersi dal pagare tutte le tasse.

E allora se devo scandalizzarmi per dei diritti che derivano da valori quali la solidarietà e la tolleranza, preferisco indignarmi per gli sprechi veri derivanti da opere incompiute o da opere che, fatte all’estero, costano un decimo di quelle fatte in Italia, da appalti che lievitano anche per il pagamento di mazzette, dai costi del “palazzo” che ogni volta, promettono di diminuire e invece aumentano sempre, della poca memoria che si ha quando si dice che la maggior parte degli inquisiti per tangentopoli sono stati assolti, da condannati che vengono candidati, da una tassa che pago sulla bolletta elettrica per lo sviluppo della ricerca sulle fonti energetiche rinnovabili che vanno anche ai petrolieri, dal fatto che si considera risolto il problema dei rifiuti solo con la costruzione di inceneritori -senza pensare che si deve cambiare mentalità e risolvere il problema a monte, non producendo rifiuti inutili e consumare meno e mi fermo qui.

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La questione… “immigrazionale”

Per poter comprendere appieno la situazione che si è venuta a creare nella questione dell’immigrazione, è necessario spiegare bene la cronistoria di questo fenomeno dalla fine degli anni 90 ad oggi. In questo caso sarà più comprensibile come le scelte attuali del governo, proposte dalla Lega Nord ed accettate (forse controvoglia) dagli altri partiti della coalizione, siano da considerare se non xenofobe altamente lesive della loro condizione. E vorrei sottolineare che parleremo degli stranieri regolarmente soggiornanti, quindi con un lavoro e un permesso di soggiorno.

Stanno facendo una politica volta ad ostacolare la vita degli immigrati, quasi a cercare di cacciarli con le “dovute maniere”, visto che non sarebbe possibile espellerli.

Tutta la questione nasce da un’ipocrisia fondamentale. Il fenomeno dell’immigrazione è cresciuto negli ultimi anni esponenzialmente, anche grazie alle regolarizzazioni del 1998 e 2002 (quest’ultima la maggiore di sempre). A fronte di quest’aumento di presenze straniere non è corrisposto un aumento di presenze negli Uffici Immigrazione delle Questure, e i dipendenti si sono trovati ad affrontare la situazione con lo stesso personale o con qualche elemento in più. Oltre a tale aumento, dovuto alle regolarizzazioni e ai flussi annuali, la legge Turco-Napolitano è stata modificata dalla Bossi-Fini in senso più restrittivo abbreviando la durata del permesso di soggiorno da un massimo di 4 anni ad un massimo di 2 anni (per gli stranieri con un contratto di lavoro a tempo indeterminato) e di 1 anno per quelli con contratto a tempo determinato. Evidentemente tale modifica ha comportato un maggior carico di lavoro (gli stranieri che prima rinnovavano ogni quattro anni ora rinnovano ogni due, quando va bene, ma sappiamo bene tutti che attualmente neanche per un italiano è facile avere un lavoro a tempo indeterminato, figuriamoci per uno straniero) e i permessi che in passato venivano rilasciati nello spazio di 20-30 giorni, con queste modifiche, ora vengono rilasciati, nelle grandi questure, in cinque o sei mesi. Tale aumento di mole di lavoro ha fatto sì che gli stranieri si riversassero in massa presso gli Uffici Immigrazione, i quali a loro volta hanno dovuto contingentare il numero degli stranieri ricevuti ogni giorno, provocando così le famose file fuori degli uffici immigrazione già dalle 2-3 del mattino. Ad un certo punto questa situazione è esplosa e il governo di allora, di centrodestra, forse per aiutare anche le Poste SpA, presiedute da un loro “uomo”, ha ideato un sistema per ricevere le domande e smistarle alle varie questure, alla modica spesa di 30 €, attraverso gli uffici postali. Così sono sparite le vergognose file notturne, le azioni Poste Spa sono aumentate e sono nati altri tipi di problemi.

Infatti nello stesso periodo, dopo anni di solleciti, l’Italia si è dovuta uniformare all’Unione Europea e passare dai permessi di soggiorno cartacei a quelli formato bancomat. Tale cambiamento ha modificato le modalità di rilascio e di stampa, che è passata al Poligrafico dello Stato. Con questi cambiamenti, comprensibilmente, i tempi di rilascio sono lievitati ancora e, come se non bastasse, l’introduzione di nuovi software per organizzare tutto il lavoro e il loro malfunzionamento (anche a causa del naturale rodaggio) hanno ulteriormente aggravato la situazione: si è arrivati, nel peggiore dei casi (questure più grandi) a dare appuntamenti a uno-due anni di distanza.

Tutto questo disagio a fronte di una legge che dispone il rilascio del titolo di soggiorno in 20 giorni e a fronte di una spesa, prevista per il rilascio di ogni permesso, di 72 € (30 € per l’assicurata postale, 14,64 € la marca da bollo, 27,50 € il prezzo della stampa del permesso).

Come se ciò non bastasse, grazie all’infinita bontà del governo, con l’ultimo decreto, in approvazione in questi giorni, definito “sulla sicurezza” (ma cosa c’entra la sicurezza con gli stranieri regolari?), è stato previsto un ulteriore balzello, eufemisticamente chiamato “contributo”. Tale contributo sarà molto probabilmente di 80 € per ogni permesso rilasciato (avrebbe potuto arrivare a 200 €!) e tale somma contribuirà alla spesa per il rimpatrio degli irregolari: in pratica gli onesti e regolari verranno tassati a causa degli irregolari… Sic!

E così una famiglia, ad esempio di un bracciante agricolo (in genere a chi lavora in agricoltura, nel 99% dei casi, viene fatto un contratto a tempo determinato) con moglie e due figli superiori a 14 anni, ogni anno dovrà pagare 608 € (Seicentootto!) per rispettare un obbligo dettato dalla legge. Ma questa è una politica dura contro i clandestini o è fatta anche per rendere la vita difficile ai lavoratori stranieri? Questa specie di balzello non è del tutto assente in Europa, ma dove è presente (in pochi stati), almeno dà in cambio un servizio veloce, con un rilascio del permesso in termini “umani” e non come in Italia dove in alcuni casi si è arrivati ad attese fino a due anni. Ciò significa anche, per inciso, che nel periodo dell’attesa lo straniero non potrà recarsi all’estero (nei Paesi Schengen), magari per far visita a suoi parenti, e neanche nel suo Paese d’origine, se non con viaggio diretto, a meno che non richieda un permesso di soggiorno provvisorio che andrà a gravare, di conseguenza, ancor di più sul ritardo dei permessi normali.

Giudicate voi se queste sono condizioni da paese civile appartenente ai 7 paesi più industriali del mondo.

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