Lega e burqa (niqab)

La Lega non smentisce la propria lotta al diverso e in nome di una sua concezione di legalità non perde occasione per andare all’attacco degli stranieri onesti, colpevoli di essere diversi dalla loro concezione di conformità. Ora l’attacco è al burqa. Vogliono fare una legge che punisca chi indossa tale indumento.
Magari si pensa che voglia difendere i diritti delle donne, oppure qualche tipo di libertà, ma la vera ragione è combattere il diverso, in questo caso il due-volte diverso: straniero e di altra religione.
Prima di affrontare l’argomento è necessario chiarire di cosa stiamo parlando. Il hijab è il velo tradizionale quello che vediamo spesso portato dalla maggior parte delle donne emigrate, quello che copre i capelli e lascia libera la faccia; il niqab è il tradizionale velo intorno ai capelli (il hijab), in genere con un velo ulteriore che copre il viso fino agli occhi; il burqa è una sorte di veste a lenzuolo che copre completamente la donna, lasciando un buco rettangolare, del tutto libero oppure con una specie di retina, al livello degli occhi (molto tradizionale in Afghanistan).
La legge che si vorrebbe modificare è la cosiddetta legge Reale1, promulgata negli anni di piombo, il cui spirito era quello di permettere di riconoscere chi sparava addosso ai poliziotti durante le manifestazioni. Che poi abbia funzionato o meno è un altro discorso: andare a prendere un manifestante mascherato, dentro un corteo, effettivamente non era e non è la cosa più saggia da fare. La legge, per lasciare ampi spazi di libertà, riservati specialmente alle nostra tradizioni nazionali (vedi anche carnevale), specifica che è perseguibile chi non si rende conoscibile “senza giustificato motivo”.

Se fosse una battaglia contro lo sfruttamento delle donne, sarebbe ben meritoria. Infatti favorevole a questa legge è Emma Bonino che non ha sicuramente intenti reconditi contro il niqab. Ma pensare che alla Lega interessi la libertà delle musulmane è un pio desiderio. Purtroppo quella della Lega è soltanto un seguito delle battaglie che sta portando avanti contro gli stranieri, delinquenti e non, senza alcun discernimento. La solita battaglia contro il diverso e per la cosiddetta tradizione cristiana di cui loro si considerano depositari, salvo poi divorziare, sposarsi con il rito celtico, respingere “cristianamente” i diseredati, ecc.
Nelle osterie padane, se qualcosa esce leggermente dagli schemi, il cervello dei frequentatori va in cortocircuito: maschio-femmina, bianco-nero, italiano-straniero, cattolico-altra religione, ecc.
Purtroppo la questione effettivamente è un po’ più complicata del “bianco-nero”, limite invalicabile del cervello leghista, ci sono implicazioni un po’ più profonde:
1) La libertà della donna.
2) La libertà di religione sancita dalla nostra Costituzione.
3) Tutela della sicurezza pubblica

1) Per iniziare, una piccola nota storica. È necessario precisare che il velo è entrato nella cultura araba attraverso tradizioni cristiano-orientali dell’impero Bizantino. Ma ancora prima dei bizantini già San Paolo aveva dettato delle norme che si sono mantenute fino a qualche anno fa, se non continuano in certi luoghi.
[3] Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. [4] Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. [5] Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è lo stesso che se fosse rasata. [6] Se dunque una donna non vuol mettersi il velo, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra. [7] L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. (Corinzi I, 11)
È evidente che obbligare la donna che si mette il niqab (o qualunque altro indumento) contro la sua volontà, è una illeggittimità e va contro tutti i nostri principi di libertà che ci siamo guadagnati dalla Rivoluzione Francese in poi.
Il significato “ufficiale” di tale indumento è nascondere agli occhi estranei le parti belle della propria persona, affinché le donne possano mostrarsi nella loro interezza solo al marito e ai familiari. Attualmente è diventata anche un affermazione della propria identità. A questo c’è da aggiungere anche un retrosignificato antropologico. In pratica, una forma di erotismo: nascondere per far immaginare, eccitare. Spesso gli occhi di queste donne sono truccati, e il trucco degli occhi non serve altro che a accentrare l’attenzione sull’iride, visto che le pupille sono segnali di disponibilità sessuale: la pupilla di fronte alla vista del proprio partner (o di qualcuno che piace) si dilata. Insomma una scelta di “piacere” al proprio uomo, come potrebbe essere quello di indossare scarpe con tacchi a spillo. Quante donne “nostrane” li indossano? Naturalmente loro dicono che è una loro libera scelta e che si sentono a loro agio indossando qualcosa che piace loro. Ma il fatto è che essi sono anche un segnale erotico molto forte per gli uomini. Perché nessuno vuole liberare le donne dalla tortura dei tacchi a spillo?
Neanche quella ex parlamentare di destra, che va predicando di voler dare la precedenza agli italiani nell’assegnazione di alcuni diritti (provenienti da tasse pagate), ma che va matta per le scarpe con tacchi stratosferici.
Probabilmente la maggioranza delle donne non è cosciente di questo “segnale”, come non si rendono conto che ogni indumento viene “costruito” da secoli per attirare il membro della specie di sesso opposto. Il coprirsi le spalle, o il divieto di entrare nelle chiese in calzoncini, non è che coprire segnali sessuali… Perché nessuno si scandalizza di questi stupidi divieti?
Alcuni obietteranno che le donne cattoliche portano il velo solo in chiesa, o nelle celebrazioni religiose all’aperto. Ma il concetto di rapporto con dio non è per tutte le religioni uguale, i cattolici, sembra, che una volta usciti dalla chiesa lo rallentino, ma ci sono religioni in cui è un rapporto continuo anche negli atti quotidiani. Per un confronto si pensi alle suore che, anche se escono dal convento non si mettono in “borghese”. Molte donne si sentirebbero sottomesse anche se indossassero gli abiti monacali, ma nessuno si scandalizza di vedere nelle strade queste monache coperte dalla testa ai piedi con solo la faccia visibile.
Il perché mi sembra evidente: una persona maggiorenne è padrona di indossare ciò che vuole. Ma allo stesso modo, perciò, deve essere libera chi volesse indossare il niqab, no? Naturalmente la Lega pensa che chi è ospite in casa d’altri debba comportarsi da ospite e per questo tutti quelli che deviano un po’ dalle loro concezioni di conformità dovrebbero tornare a casa loro e non verrebbe mai nella loro povera mente che magari tra i musulmani ci potrebbero essere anche italiani con i loro stessi diritti. Se tutte le ragazze musulmane immigrate, indossassero scarpe con tacchi a spillo sicuramente non si scandalizzerebbero, se queste ragazze partecipassero alle selezioni per diventare veline, o a festini in ville varie, tanto meno…
Il problema potrebbe nascere con le ragazze minorenni. Imporre un indumento ad una minorenne non è che sia il massimo esercizio di libertà, ma se qualcuno appartiene ad una religione deve poter essere libero di seguirla nei suoi precetti. Non mi pare che si scandalizzi quando si “obbligano” i propri figli ad andare a messa (se non ne hanno voglia) o a frequentare il catechismo (invece di andare a giocare).
Mi pare che la maggioranza dei credenti pensa che sia giusto inculcare la propria religione nelle menti dei bambini, fin dalla nascita, e quindi perché scandalizzarsi se una religione fa vestire in qualche modo i propri figli? O forse che bisogna educare solo a quella che si considera la “vera religione”? (Naturalmente si tratterebbe di quella cristiana, per la maggioranza degli italiani). Come si vede la questione alla base del rapporto con i minorenni è se sia o meno giusto educarli religiosamente (su questo tema si legga qui).

2) La Costituzione, questo assurdo ostacolo di fronte alla Lega, che, se potessero, modificherebbero anche nella prima parte, sancisce che tutte le religioni sono sullo stesso piano. Probabilmente nelle loro osterie non è un libro molto presente sui tavoli e quindi non lo sanno, ed infatti, ovunque amministrino, cercano di impedire che vengano costruite nuove moschee.
Ogni cittadino è libero di professare la religione che vuole. Ed a questa libertà seguono i precetti di tale religione, validi fino alla salvaguardia della salute dell’individuo. Quest’ultima salvaguardia addirittura perde vigore fondendosi con il diritto a rifiutare le cure.
Quindi, impedendo ad un individuo di indossare un indumento previsto dalla propria religione, si limita la libertà di religione. Stiamo parlando di persone che  lo indossano di propria volontà, naturalmente. Sempre in questo caso, se impedissimo di indossare un indumento con l’intenzione di “liberare” la donna da questo obbligo (nonostante il suo rifiuto) non sarebbe come voler impedire alle monache di clausura (o ai monaci) di rinchiudersi in un convento a vita senza avere rapporti con l’esterno ? Una specie di “esportazione della libertà” di triste memoria. E se pensiamo a che vita fanno dentro questi conventi, mi pare chiaro che è preferibile andare vestiti con un velo che stare tutta la vita rinchiusi spesso anche mortificando la carne.. Oppure è più ragionevole che una donna si sottometta ad una entità “immaginaria”? La lega naturalmente non ci ha neanche pensato in quanto nella sua mente non alberga minimamente il concetto di libertà della donna.

3) Il problema della sicurezza e la legge Reale1 sembra che in qualche modo siano nati con il terrorismo. Infatti prima di tale periodo non se ne sentiva il bisogno. Attualmente, a parte durante le manifestazioni, dei posti delicati per andare con il volto coperto potrebbero alcune città italiane (ad alta densità delinquenziale), dove chi gira con il casco integrale desta forti sospetti di essere uno scippatore o un killer (ma in genere i rapinatori o scippatori cercano di passare inosservati e vedere una donna in niqab sulla motocicletta sarebbe un po’ estemporaneo). Altra ipotesi "delicata" più verosimile, potrebbe essere la banca, dove però potrebbe essere stabilito di farsi riconoscere prima di entrare. Una volta all’interno è naturale che per le operazioni gli impiegati debbano identificare l’eventuale cliente. Stesso discorso vale anche in qualunque ufficio pubblico o a richiesta di pubblici ufficiali: le donne velate debbano mostrare l’intera faccia per poter essere riconosciute. Ma questo accade già ora.

Analizzati i suddetti punti, quali sono le principali riflessioni?
La vera priorità è la libertà dell’individuo, nel nostro caso della donna (fino a che non limiti la libertà altrui). Questa dovrebbe essere la linea guida per salvaguardare questa libertà. Purtroppo, la Lega, pur essendo alleata al Popolo delle (cosiddette) Libertà (sic!), salvaguarda solo le libertà che più l’aggradano, mentre quelle individuali vorrebbero limitarle, specie quando si tratta di libertà laiche o (altrimenti) religiose.
Subito dopo viene la libertà di religione che è subordinata alla libertà dell’individuo. Quindi principalmente deve essere salvaguardata la libertà di scegliere. Poiché però tale libertà a volte è nascosta dalla sottomissione della donna alla propria famiglia, bisognerebbe probabilmente creare una legge ad hoc, che punisca chi obblighi la propria moglie o familiare ad indossarlo, contro la sua volontà, magari rendendo la denuncia non remissibile, come già accade per la violenza sessuale, per la ragione che sotto la pressione dei familiari potrebbero “ripensarci”.
Inoltre, affinché lo Stato, dovendo restare laico, non arrivi a compiacere ogni tipo di precetto religioso, che in genere sono retaggi superstiziosi, una buona soluzione potrebbe essere quella adottata dalla Francia: in luoghi appartenenti alla Pubblica Amministrazione, scuole, uffici statali, piscine pubbliche, ospedali, ecc., non viene riconosciuta, né, tantomeno, preferita, alcuna religione e non è permesso entrarci con simboli religiosi, ciò per “rendere libere” le donne che sono costrette, loro malgrado, ad indossare indumenti non graditi o a comportamenti dettati da retaggi religiosi, come ad esempio non poter essere visitate da medici uomini.
Quest’ultima sarebbe probabilmente la soluzione ideale ma in questa repubblica in cui la "sana laicità" viene definita dalla Chiesa Cattolica non la vedo ancora praticabile. E così in Italia ci ritroviamo con la tendenza opposta. Assecondare tutti i precetti religiosi per una malintesa libertà di culto.


Note

1) Legge n.152 del22 maggio 1975, Art.11:

È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico senza gisutificato motivo. È in ogni caso vietato l’uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne di carattere sportivo.(…)

 

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La questione… “immigrazionale”

Per poter comprendere appieno la situazione che si è venuta a creare nella questione dell’immigrazione, è necessario spiegare bene la cronistoria di questo fenomeno dalla fine degli anni 90 ad oggi. In questo caso sarà più comprensibile come le scelte attuali del governo, proposte dalla Lega Nord ed accettate (forse controvoglia) dagli altri partiti della coalizione, siano da considerare se non xenofobe altamente lesive della loro condizione. E vorrei sottolineare che parleremo degli stranieri regolarmente soggiornanti, quindi con un lavoro e un permesso di soggiorno.

Stanno facendo una politica volta ad ostacolare la vita degli immigrati, quasi a cercare di cacciarli con le “dovute maniere”, visto che non sarebbe possibile espellerli.

Tutta la questione nasce da un’ipocrisia fondamentale. Il fenomeno dell’immigrazione è cresciuto negli ultimi anni esponenzialmente, anche grazie alle regolarizzazioni del 1998 e 2002 (quest’ultima la maggiore di sempre). A fronte di quest’aumento di presenze straniere non è corrisposto un aumento di presenze negli Uffici Immigrazione delle Questure, e i dipendenti si sono trovati ad affrontare la situazione con lo stesso personale o con qualche elemento in più. Oltre a tale aumento, dovuto alle regolarizzazioni e ai flussi annuali, la legge Turco-Napolitano è stata modificata dalla Bossi-Fini in senso più restrittivo abbreviando la durata del permesso di soggiorno da un massimo di 4 anni ad un massimo di 2 anni (per gli stranieri con un contratto di lavoro a tempo indeterminato) e di 1 anno per quelli con contratto a tempo determinato. Evidentemente tale modifica ha comportato un maggior carico di lavoro (gli stranieri che prima rinnovavano ogni quattro anni ora rinnovano ogni due, quando va bene, ma sappiamo bene tutti che attualmente neanche per un italiano è facile avere un lavoro a tempo indeterminato, figuriamoci per uno straniero) e i permessi che in passato venivano rilasciati nello spazio di 20-30 giorni, con queste modifiche, ora vengono rilasciati, nelle grandi questure, in cinque o sei mesi. Tale aumento di mole di lavoro ha fatto sì che gli stranieri si riversassero in massa presso gli Uffici Immigrazione, i quali a loro volta hanno dovuto contingentare il numero degli stranieri ricevuti ogni giorno, provocando così le famose file fuori degli uffici immigrazione già dalle 2-3 del mattino. Ad un certo punto questa situazione è esplosa e il governo di allora, di centrodestra, forse per aiutare anche le Poste SpA, presiedute da un loro “uomo”, ha ideato un sistema per ricevere le domande e smistarle alle varie questure, alla modica spesa di 30 €, attraverso gli uffici postali. Così sono sparite le vergognose file notturne, le azioni Poste Spa sono aumentate e sono nati altri tipi di problemi.

Infatti nello stesso periodo, dopo anni di solleciti, l’Italia si è dovuta uniformare all’Unione Europea e passare dai permessi di soggiorno cartacei a quelli formato bancomat. Tale cambiamento ha modificato le modalità di rilascio e di stampa, che è passata al Poligrafico dello Stato. Con questi cambiamenti, comprensibilmente, i tempi di rilascio sono lievitati ancora e, come se non bastasse, l’introduzione di nuovi software per organizzare tutto il lavoro e il loro malfunzionamento (anche a causa del naturale rodaggio) hanno ulteriormente aggravato la situazione: si è arrivati, nel peggiore dei casi (questure più grandi) a dare appuntamenti a uno-due anni di distanza.

Tutto questo disagio a fronte di una legge che dispone il rilascio del titolo di soggiorno in 20 giorni e a fronte di una spesa, prevista per il rilascio di ogni permesso, di 72 € (30 € per l’assicurata postale, 14,64 € la marca da bollo, 27,50 € il prezzo della stampa del permesso).

Come se ciò non bastasse, grazie all’infinita bontà del governo, con l’ultimo decreto, in approvazione in questi giorni, definito “sulla sicurezza” (ma cosa c’entra la sicurezza con gli stranieri regolari?), è stato previsto un ulteriore balzello, eufemisticamente chiamato “contributo”. Tale contributo sarà molto probabilmente di 80 € per ogni permesso rilasciato (avrebbe potuto arrivare a 200 €!) e tale somma contribuirà alla spesa per il rimpatrio degli irregolari: in pratica gli onesti e regolari verranno tassati a causa degli irregolari… Sic!

E così una famiglia, ad esempio di un bracciante agricolo (in genere a chi lavora in agricoltura, nel 99% dei casi, viene fatto un contratto a tempo determinato) con moglie e due figli superiori a 14 anni, ogni anno dovrà pagare 608 € (Seicentootto!) per rispettare un obbligo dettato dalla legge. Ma questa è una politica dura contro i clandestini o è fatta anche per rendere la vita difficile ai lavoratori stranieri? Questa specie di balzello non è del tutto assente in Europa, ma dove è presente (in pochi stati), almeno dà in cambio un servizio veloce, con un rilascio del permesso in termini “umani” e non come in Italia dove in alcuni casi si è arrivati ad attese fino a due anni. Ciò significa anche, per inciso, che nel periodo dell’attesa lo straniero non potrà recarsi all’estero (nei Paesi Schengen), magari per far visita a suoi parenti, e neanche nel suo Paese d’origine, se non con viaggio diretto, a meno che non richieda un permesso di soggiorno provvisorio che andrà a gravare, di conseguenza, ancor di più sul ritardo dei permessi normali.

Giudicate voi se queste sono condizioni da paese civile appartenente ai 7 paesi più industriali del mondo.

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