Lega e burqa (niqab)

La Lega non smentisce la propria lotta al diverso e in nome di una sua concezione di legalità non perde occasione per andare all’attacco degli stranieri onesti, colpevoli di essere diversi dalla loro concezione di conformità. Ora l’attacco è al burqa. Vogliono fare una legge che punisca chi indossa tale indumento.
Magari si pensa che voglia difendere i diritti delle donne, oppure qualche tipo di libertà, ma la vera ragione è combattere il diverso, in questo caso il due-volte diverso: straniero e di altra religione.
Prima di affrontare l’argomento è necessario chiarire di cosa stiamo parlando. Il hijab è il velo tradizionale quello che vediamo spesso portato dalla maggior parte delle donne emigrate, quello che copre i capelli e lascia libera la faccia; il niqab è il tradizionale velo intorno ai capelli (il hijab), in genere con un velo ulteriore che copre il viso fino agli occhi; il burqa è una sorte di veste a lenzuolo che copre completamente la donna, lasciando un buco rettangolare, del tutto libero oppure con una specie di retina, al livello degli occhi (molto tradizionale in Afghanistan).
La legge che si vorrebbe modificare è la cosiddetta legge Reale1, promulgata negli anni di piombo, il cui spirito era quello di permettere di riconoscere chi sparava addosso ai poliziotti durante le manifestazioni. Che poi abbia funzionato o meno è un altro discorso: andare a prendere un manifestante mascherato, dentro un corteo, effettivamente non era e non è la cosa più saggia da fare. La legge, per lasciare ampi spazi di libertà, riservati specialmente alle nostra tradizioni nazionali (vedi anche carnevale), specifica che è perseguibile chi non si rende conoscibile “senza giustificato motivo”.

Se fosse una battaglia contro lo sfruttamento delle donne, sarebbe ben meritoria. Infatti favorevole a questa legge è Emma Bonino che non ha sicuramente intenti reconditi contro il niqab. Ma pensare che alla Lega interessi la libertà delle musulmane è un pio desiderio. Purtroppo quella della Lega è soltanto un seguito delle battaglie che sta portando avanti contro gli stranieri, delinquenti e non, senza alcun discernimento. La solita battaglia contro il diverso e per la cosiddetta tradizione cristiana di cui loro si considerano depositari, salvo poi divorziare, sposarsi con il rito celtico, respingere “cristianamente” i diseredati, ecc.
Nelle osterie padane, se qualcosa esce leggermente dagli schemi, il cervello dei frequentatori va in cortocircuito: maschio-femmina, bianco-nero, italiano-straniero, cattolico-altra religione, ecc.
Purtroppo la questione effettivamente è un po’ più complicata del “bianco-nero”, limite invalicabile del cervello leghista, ci sono implicazioni un po’ più profonde:
1) La libertà della donna.
2) La libertà di religione sancita dalla nostra Costituzione.
3) Tutela della sicurezza pubblica

1) Per iniziare, una piccola nota storica. È necessario precisare che il velo è entrato nella cultura araba attraverso tradizioni cristiano-orientali dell’impero Bizantino. Ma ancora prima dei bizantini già San Paolo aveva dettato delle norme che si sono mantenute fino a qualche anno fa, se non continuano in certi luoghi.
[3] Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. [4] Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. [5] Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è lo stesso che se fosse rasata. [6] Se dunque una donna non vuol mettersi il velo, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra. [7] L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. (Corinzi I, 11)
È evidente che obbligare la donna che si mette il niqab (o qualunque altro indumento) contro la sua volontà, è una illeggittimità e va contro tutti i nostri principi di libertà che ci siamo guadagnati dalla Rivoluzione Francese in poi.
Il significato “ufficiale” di tale indumento è nascondere agli occhi estranei le parti belle della propria persona, affinché le donne possano mostrarsi nella loro interezza solo al marito e ai familiari. Attualmente è diventata anche un affermazione della propria identità. A questo c’è da aggiungere anche un retrosignificato antropologico. In pratica, una forma di erotismo: nascondere per far immaginare, eccitare. Spesso gli occhi di queste donne sono truccati, e il trucco degli occhi non serve altro che a accentrare l’attenzione sull’iride, visto che le pupille sono segnali di disponibilità sessuale: la pupilla di fronte alla vista del proprio partner (o di qualcuno che piace) si dilata. Insomma una scelta di “piacere” al proprio uomo, come potrebbe essere quello di indossare scarpe con tacchi a spillo. Quante donne “nostrane” li indossano? Naturalmente loro dicono che è una loro libera scelta e che si sentono a loro agio indossando qualcosa che piace loro. Ma il fatto è che essi sono anche un segnale erotico molto forte per gli uomini. Perché nessuno vuole liberare le donne dalla tortura dei tacchi a spillo?
Neanche quella ex parlamentare di destra, che va predicando di voler dare la precedenza agli italiani nell’assegnazione di alcuni diritti (provenienti da tasse pagate), ma che va matta per le scarpe con tacchi stratosferici.
Probabilmente la maggioranza delle donne non è cosciente di questo “segnale”, come non si rendono conto che ogni indumento viene “costruito” da secoli per attirare il membro della specie di sesso opposto. Il coprirsi le spalle, o il divieto di entrare nelle chiese in calzoncini, non è che coprire segnali sessuali… Perché nessuno si scandalizza di questi stupidi divieti?
Alcuni obietteranno che le donne cattoliche portano il velo solo in chiesa, o nelle celebrazioni religiose all’aperto. Ma il concetto di rapporto con dio non è per tutte le religioni uguale, i cattolici, sembra, che una volta usciti dalla chiesa lo rallentino, ma ci sono religioni in cui è un rapporto continuo anche negli atti quotidiani. Per un confronto si pensi alle suore che, anche se escono dal convento non si mettono in “borghese”. Molte donne si sentirebbero sottomesse anche se indossassero gli abiti monacali, ma nessuno si scandalizza di vedere nelle strade queste monache coperte dalla testa ai piedi con solo la faccia visibile.
Il perché mi sembra evidente: una persona maggiorenne è padrona di indossare ciò che vuole. Ma allo stesso modo, perciò, deve essere libera chi volesse indossare il niqab, no? Naturalmente la Lega pensa che chi è ospite in casa d’altri debba comportarsi da ospite e per questo tutti quelli che deviano un po’ dalle loro concezioni di conformità dovrebbero tornare a casa loro e non verrebbe mai nella loro povera mente che magari tra i musulmani ci potrebbero essere anche italiani con i loro stessi diritti. Se tutte le ragazze musulmane immigrate, indossassero scarpe con tacchi a spillo sicuramente non si scandalizzerebbero, se queste ragazze partecipassero alle selezioni per diventare veline, o a festini in ville varie, tanto meno…
Il problema potrebbe nascere con le ragazze minorenni. Imporre un indumento ad una minorenne non è che sia il massimo esercizio di libertà, ma se qualcuno appartiene ad una religione deve poter essere libero di seguirla nei suoi precetti. Non mi pare che si scandalizzi quando si “obbligano” i propri figli ad andare a messa (se non ne hanno voglia) o a frequentare il catechismo (invece di andare a giocare).
Mi pare che la maggioranza dei credenti pensa che sia giusto inculcare la propria religione nelle menti dei bambini, fin dalla nascita, e quindi perché scandalizzarsi se una religione fa vestire in qualche modo i propri figli? O forse che bisogna educare solo a quella che si considera la “vera religione”? (Naturalmente si tratterebbe di quella cristiana, per la maggioranza degli italiani). Come si vede la questione alla base del rapporto con i minorenni è se sia o meno giusto educarli religiosamente (su questo tema si legga qui).

2) La Costituzione, questo assurdo ostacolo di fronte alla Lega, che, se potessero, modificherebbero anche nella prima parte, sancisce che tutte le religioni sono sullo stesso piano. Probabilmente nelle loro osterie non è un libro molto presente sui tavoli e quindi non lo sanno, ed infatti, ovunque amministrino, cercano di impedire che vengano costruite nuove moschee.
Ogni cittadino è libero di professare la religione che vuole. Ed a questa libertà seguono i precetti di tale religione, validi fino alla salvaguardia della salute dell’individuo. Quest’ultima salvaguardia addirittura perde vigore fondendosi con il diritto a rifiutare le cure.
Quindi, impedendo ad un individuo di indossare un indumento previsto dalla propria religione, si limita la libertà di religione. Stiamo parlando di persone che  lo indossano di propria volontà, naturalmente. Sempre in questo caso, se impedissimo di indossare un indumento con l’intenzione di “liberare” la donna da questo obbligo (nonostante il suo rifiuto) non sarebbe come voler impedire alle monache di clausura (o ai monaci) di rinchiudersi in un convento a vita senza avere rapporti con l’esterno ? Una specie di “esportazione della libertà” di triste memoria. E se pensiamo a che vita fanno dentro questi conventi, mi pare chiaro che è preferibile andare vestiti con un velo che stare tutta la vita rinchiusi spesso anche mortificando la carne.. Oppure è più ragionevole che una donna si sottometta ad una entità “immaginaria”? La lega naturalmente non ci ha neanche pensato in quanto nella sua mente non alberga minimamente il concetto di libertà della donna.

3) Il problema della sicurezza e la legge Reale1 sembra che in qualche modo siano nati con il terrorismo. Infatti prima di tale periodo non se ne sentiva il bisogno. Attualmente, a parte durante le manifestazioni, dei posti delicati per andare con il volto coperto potrebbero alcune città italiane (ad alta densità delinquenziale), dove chi gira con il casco integrale desta forti sospetti di essere uno scippatore o un killer (ma in genere i rapinatori o scippatori cercano di passare inosservati e vedere una donna in niqab sulla motocicletta sarebbe un po’ estemporaneo). Altra ipotesi "delicata" più verosimile, potrebbe essere la banca, dove però potrebbe essere stabilito di farsi riconoscere prima di entrare. Una volta all’interno è naturale che per le operazioni gli impiegati debbano identificare l’eventuale cliente. Stesso discorso vale anche in qualunque ufficio pubblico o a richiesta di pubblici ufficiali: le donne velate debbano mostrare l’intera faccia per poter essere riconosciute. Ma questo accade già ora.

Analizzati i suddetti punti, quali sono le principali riflessioni?
La vera priorità è la libertà dell’individuo, nel nostro caso della donna (fino a che non limiti la libertà altrui). Questa dovrebbe essere la linea guida per salvaguardare questa libertà. Purtroppo, la Lega, pur essendo alleata al Popolo delle (cosiddette) Libertà (sic!), salvaguarda solo le libertà che più l’aggradano, mentre quelle individuali vorrebbero limitarle, specie quando si tratta di libertà laiche o (altrimenti) religiose.
Subito dopo viene la libertà di religione che è subordinata alla libertà dell’individuo. Quindi principalmente deve essere salvaguardata la libertà di scegliere. Poiché però tale libertà a volte è nascosta dalla sottomissione della donna alla propria famiglia, bisognerebbe probabilmente creare una legge ad hoc, che punisca chi obblighi la propria moglie o familiare ad indossarlo, contro la sua volontà, magari rendendo la denuncia non remissibile, come già accade per la violenza sessuale, per la ragione che sotto la pressione dei familiari potrebbero “ripensarci”.
Inoltre, affinché lo Stato, dovendo restare laico, non arrivi a compiacere ogni tipo di precetto religioso, che in genere sono retaggi superstiziosi, una buona soluzione potrebbe essere quella adottata dalla Francia: in luoghi appartenenti alla Pubblica Amministrazione, scuole, uffici statali, piscine pubbliche, ospedali, ecc., non viene riconosciuta, né, tantomeno, preferita, alcuna religione e non è permesso entrarci con simboli religiosi, ciò per “rendere libere” le donne che sono costrette, loro malgrado, ad indossare indumenti non graditi o a comportamenti dettati da retaggi religiosi, come ad esempio non poter essere visitate da medici uomini.
Quest’ultima sarebbe probabilmente la soluzione ideale ma in questa repubblica in cui la "sana laicità" viene definita dalla Chiesa Cattolica non la vedo ancora praticabile. E così in Italia ci ritroviamo con la tendenza opposta. Assecondare tutti i precetti religiosi per una malintesa libertà di culto.


Note

1) Legge n.152 del22 maggio 1975, Art.11:

È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico senza gisutificato motivo. È in ogni caso vietato l’uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne di carattere sportivo.(…)

 

WordPress Plugin Share Bookmark Email

Dialetti e osterie

Una delle ultime “boutade” dell’estate, eufemismo per ca***te, tirata fuori, tanto per cambiare, dalla Lega è quello dell’insegnamento dei dialetti a scuola e tralasciamo le esternazoni sull’Inno dei Mameli, sui test per gli insegnanti di fuori regione, per poter insegnare, e cavolate varie.

Questa difesa ad oltranza dei dialietti da parte dei leghisti rischia di far diminuire d’importanza i dialetti e di farli passare come una cosa politica di esclusivo dominio di questi signori (altro eufemismo) della Lega. Ed invece i dialetti sono una cosa seria che non bisogna lasciare in mano ai frequentatori delle osterie padane.
Per comprendere a fondo di cosa si parla è necessario un piccolo approfondimento linguistico.

Qual è la differenza tra i dialetti e le lingue?

Ebbene la differenza tra i dialetti e le lingue, praticamente non esiste. Quando si vuole definire un dialetto lo si fa con una “battuta”: “un dialetto è una lingua senza esercito”, questo per far capire quanto sia difficile differenziarli linguisticamente.
I dialetti in Italia, in genere, sono delle modifiche del latino nel corso dei secoli (come metafora prendete un fiume ghiacciato in superficie → il latino classico – e l’acqua che scorre sotto il ghiaccio è il latino parlato che durante l’Impero Romano si evolve sempre più). Dopo la caduta dell’Impero Romano (= rottura del ghiaccio) il latino parlato, già abbastanza differenziatosi, si va sempre più allontanando dalla lingua originaria. La divisione dell’Italia in molti staterelli non fa che accentuare le differenze e l’evoluzione di ciascun dialetto, in vere e proprie lingue che con il passare dei secoli risultano incomprensibili le une alle altre, quanto più sono lontane geograficamente.

Gli attuali dialetti quindi non sono altro che il latino evoluto e non come alcuni pensano (almeno in centritalia, storpiature dell’italiano (toscano).

Ogni dialetto, appartenendo a delle comunità da secoli, fa parte delle radici di queste comunità, e più sono piccole, tali comunità, più queste lingue sono identificative delle loro radici. La scomparsa di un dialetto è come il taglio delle radici di una pianta, una perdita di identità che non si può più recuperare. Scomparso un dialetto si perde un pezzo d’identità e non ne rimane testimonianza vivente. Persa l’identità tutto si appiattisce e gli individui di queste comunità diventano come pecore di in un gregge, non più riconoscibili dalle altre.

E quindi, è giusto insegnarlo a scuola?

Sì, certo, ma a quella scuola speciale che è la vita, la strada, la famiglia. Il dialetto andrebbe parlato in famiglia senza vergogna (se si tratta di famiglia uniforme: in cui ambedue i genitori parlano lo stesso dialetto). Purtroppo esistono politici che aprono bocca e danno fiato, senza collegare il cervello e così ci ritroviamo delle proposte insensate e irrealizzabili, se va bene, altrimenti realizzabili a chissà che costi.

Perché?

Ci sono diverse ragioni (lo so che parlare di ragione con alcuni politici è come parlare cinese con un padano).

Per prima cosa: una regione può anche avere un dialetto più o meno uniforme, ma non sempre è così; i dialetti non hanno confini ben definiti e non sono localizzati precisamente. Paesi o città vicine, possono avere dialetti diversi, E allora, quale dialetto insegnare? Quello della città in cui ha sede la scuola? Quello della maggioranza? E allora che facciamo? Prima diciamo che ogni dialetto ha una sua dignità e poi diciamo che alcuni ne hanno più di altri?

Chi saranno gli insegnanti e quanti saranno necessari? Dove verrà trovato l’insegnante di un determinato dialetto, specialmente per quelli di piccole comunità, in cui magari non esiste alcun insegnante di lingua? Oppure questi insegnanti dovranno prima imparare il dialetto che dovranno insegnare? E poi se verranno trasferiti nella scuola della città confinante, ne dovranno imparare uno nuovo oppure non avranno diritto di insegnarlo?

E gli alunni? Accade spesso che una famiglia si trasferisca in un paese a poca distanza, e i figli che faranno, inizieranno ad imparare un nuovo dialetto a scuola? Se si tratta di materie comuni come l’italiano o la lingua straniera, tutte le scuole insegnano pressoché le stesse nozioni, ma nel caso del dialetto dovrebbero impararlo da capo, e così avremo le classi differenziate non solo per gli extracomunitari ma anche per i bambini che hanno traslocato da una città all’altra.

Il dialetto come detto in precedenza, si parla sulla strada con gli amici, i compagni di giochi o in famiglia. È lo strumento di comunicazione di più basso livello: quello per comunicare con gli individui più vicini. Ad un livello maggiore si trova l’italiano, per comunicare con tutti gli altri nostri connazionali fuori della cerchia del dialetto, che a questo punto potrebbero essere anche gli abitanti di un paese vicino, che ha un dialetto diverso. E siccome al livello base, la “vita” stessa generalmente insegna il dialetto, l’italiano deve essere insegnato a scuola e deve correggere le abitudini acquisite parlando una lingua di strada.

L’esperienza prova che i bambini possono imparare tre lingue simultaneamente (ad es. lingua materna, lingua paterna e lingua dell’ambiente frequentato) quindi non c’è alcun problema nell’imparare il dialetto e la lingua nazionale. Quindi la situazione attuale già andrebbe bene, anche se una maggiore valorizzazione dei dialetti sarebbe auspicabile, in special modo una sensibilizzazione alle famiglie a non rimproverare i figli quando lo parlano (in questo caso parlo della situazione che è venuta a crearsi nel mio paese, dove il dialetto sembra una storpiatura dell’italiano e non piace ai genitori).

I dialetti sono una cosa troppo seria per lasciarli in mano a questi individui.

Infine, sopra ho parlato di due livelli di comunicazione, quello più basso, occupato dal dialetto, e il secondo livello, quello occupato dalla lingua nazionale. Ma ce ne sarebbe un terzo, quello per la comunicazione inter-nazionale. Questo posto dovrebbe essere occupato non da una lingua nazionale, per ovvie rragioni, ma da una lingua che abbia alcune qualità fondamentali: la neutralità, per non favorire nessuno, la facilità, per dare la possibilità a tutti, anche a chi non è portato per le lingue, di impararla.

Be’, alla luce di queste qualità, attualmente, l’unica lingua che potrebe occupare questo posto è l’esperanto.

Ma questa è un’altra storia…
 

WordPress Plugin Share Bookmark Email

Quousque tandem…?

Chi conosce Rosa Parks? Magari il nome non dirà niente ma forse se si racconta la storia a cui ha preso parte, a molti verrà in mente.

Nel 1955 nell’America ancora razzista e segregazionista, Rosa Parks, prese l’autobus per tornare a casa dopo una giornata di lavoro. Gli autobus a quell’epoca erano divisi in due parti, una per i neri e una per i bianchi. Poiché la parte riservata ai neri era piena, scelse un posto nella sezione riservata ai bianchi, che in quel momento era libero. Quando, ad una fermata successiva, salirono altri bianchi, questi ultimi protestarono con l’autista in quanto non c’era più posto e pretendevano che la Parks si alzasse per lasciare il posto a uno di loro. La Parks si rifiutò e, dopo che fu chiamata la Polizia, fu arrestata, per violazione della legge cittadina sulla segregazione. Cominciò allora un boicottaggio dei mezzi pubblici da parte degli afroamericani che durò 381 giorni fino a che la legge non fu abrogata. Nel 1956 la Corte Suprema degli Stati Uniti, decidendo sul caso Parks, dichiarò incostituzionale la legge sulla segregazione razziale.

In questi giorni sembra di essere tornati indietro di più di 50 anni, a quell’epoca in America, o, peggio, ai tempi delle leggi razziali in Italia, quando in alcuni esercizi pubblici era affisso un avviso nel quale c’era scritto “vietato l’ingresso ai cani e agli ebrei”.

Questo viaggio nel tempo è riuscito a farmelo fare un elemento come Matteo Salvini, attuale consigliere della Lega Nord al comune di Milano. Non so se ce l’avete presente: quando parla sembra che abbia la voce impostata da macho.
Cosa ha fatto il Salvini? Ha proposto di riservare dei vagoni sulla metro di Milano ai milanesi, poi una compagna di partito, una certa Raffaella Piccinni è andata anche più in là, come se la proposta del Salvini non fosse abbastanza chiara: “Bisognerebbe riservare dei vagoni agli extracomunitari”. E Berlusconi che fa? Minimizza, è solo una battuta (magari lui è abituato alle sue grandiosi battute), e come al solito chi alza la voce contro queste derive razziste è il presidente della Camera, Fini.

È una vergogna! Come possono esistere tali elementi all’interno di un consiglio comunale, o addirittura in Parlamento? Come è possibile che un Paese che ha avuto milioni di emigranti possa aver scelto di essere rappresentato da tali elementi. Fino a quando continueremo a tollerare questa xenofobia che aumenta sempre più? Dovremo per caso rivedere le stelle di triste memoria da cucire sulle giacche, per cominciare a capire che abbiamo raggiunto il limite?

Piccola nota a margine: chissà gli svizzeri o gli americani in che posto dovrebbero sedersi? Ma forse per loro sarebbe solo un contrappasso, viste quante ne hanno fatte passare ai nostri emigrati…

WordPress Plugin Share Bookmark Email

Dì qualcosa di “verde”!

Vi ricordate la frase detta da Moretti nel film Aprile, durante una tribuna politica con D’Alema (= "Dì qualcosa di sinistra!")? Io l’ho parafrasata come nel titolo e la rivolgo al governo attuale.

Avete per caso parlare di ecologia a qualcuno del governo? Hanno cominciato con la promessa di costruire nuove centrali nucleari, hanno continuato con la promessa del ponte di Messina e se non bastasse Tremonti voleva tagliare gli incentivi del 55% sul risparmio energetico, poi, per fortuna ci ha ripensato, forse sotto pressione dell’opinione pubblica, e si è limitato a spalmare il recupero dell’IRPEF su 5 anni invece che 3 (Meglio che niente, vista la paura che mi era presa…). Ad ogni pie’ sospinto il presidente del consiglio non smette di proporre di incentivare il cemento nelle nostre città (il vecchio amore non si scorda mai…).

Queste le cose più evidenti.

Avete per caso sentito parlare in televisione della Prestigiacomo (ministro dell’Ambiente)? Con la sapienza dell’uso dei mezzi di comunicazione di questo governo, se non ne avete sentito parlare, significa veramente che deve aver fatto un gran poco, se non nulla. In compenso l’abbiamo sentita, in negativo, quando si è impuntata per non far mantenere l’impegno al nostro Paese di diminuire le emissioni di CO2 durante un summit dell’UE, alleandosi con paesi dell’est europeo e vantandosi che non siamo i soli a lamentarci. Il tutto per difendere la produttività della nostra industria.

Grande ministro dell’Ambiente! Novella Obama…

La ciliegina sulla torta l’hanno messa al Senato, poco più di un mese fa con l’approvazione di una mozione, proposta tra l’altro da Dell’Utri (altro famoso ecologista…), nella quale si nega la gravità del riscaldamento globale e in ogni caso non si imputano all’azione umana tutti gli effetti sotto i nostri occhi.

Sic!

Da chi siamo governati? Guardatevi questo video dove è dimostrato chiaramente che, con il pretesto di essere stati scelti dal popolo, si fanno leggi senza interpellare esperti nella materia che si vuole regolamentare (nel caso specifico si tratta di Internet).

 

WordPress Plugin Share Bookmark Email

Novelli paladini della Costituzione

Ve lo sareste mai aspettato di vedere la Lega paladina della Costituzione?

Qualche giorno fa, per giustificare lo spreco di centinaia di milioni di euro per far fallire il referendum, Calderoli si è messo a difendere la Costituzione, dicendo che sarebbe incostituzionale accorpare i referendum con le elezioni europee. Come mai tutto questo zelo nella difesa della nostra Carta fondamentale che i leghisti avrebbero usato volentieri come carta igienica? Il motivo sottinteso è che vogliono far fallire il referendum, naturalmente, e per far questo si appigliano a presunti elementi di incostituzionalità. Perché, cosa sostengono questi paladini della Costituzione dell’ultima ora?

Che non è mai accaduto che un referendum si accorpasse ad una consultazione politica o amministrativa, in quanto se l’elettore volesse votare per le europee e si rifiutasse di votare per il referendum (come è suo diritto) si perderebbe la segretezza del voto.
Sembra che la Lega pensi di trovarsi sempre di fronte ai frequentatori delle osterie padane un po’ scarsi di comprendonio, e tratti tutti gli italiani come tali.

– Di fronte a chi, ci sarebbe la perdita della segretezza? Al presidente del seggio e agli scrutatori? Ma questi in ogni caso verrebbero a conoscenza del mancato voto anche se l’elettore non entrasse nel seggio, essendo in possesso degli elenchi dei cittadini, con il diritto di voto, nei quali viene smarcato chi ha votato. Quindi, volendo, potrebbero venirlo a sapere lo stesso.

– La scheda elettorale attualmente è unica per molte votazioni, e viene timbrata ad ogni consultazione, quindi al momento della timbratura da parte del presidente del seggio, quest’ultimo può sapere quante volte e quando l’elettore ha votato.

– Come sarebbe visibile il rifiuto di un referendum, al momento del voto accorpato con una consultazione politica, lo stesso avverrebbe con due o più referendum, visto che l’elettore potrebbe scegliere di non votare per uno o più referendum.

– Sarebbe necessaria una legge per accorpare le consultazioni? Non vedo quale sia l’ostacolo, visti i precedenti, quando si è trattato di leggi un po’ "particolari", approvate molto, ma molto celermente.

– Ciliegina sulla torta. Chi pensate che chiedesse a Ciampi nel 2001 di bloccare l’abbinamento dei due referendum, e [che uno di questi] si svolg[esse] regolarmente il 13 maggio negli stessi seggi usati per le elezioni politiche e amministrative? E dicesse, ancora: “Se il governo decidesse di far svolgere il referendum in altre sedi sarebbe una sciocchezza, un’ inutile ripicca e una beffa che costerebbe, tra l’ altro, un sacco di soldi”? Ebbene sì, era proprio la Lega, con l’attuale ministro dell’interno, prima che Lega diventasse paladina della Costituzione.

Conclusione: forse se spiegassero le conseguenze sul premio di maggioranza di una eventuale vittoria dei referendum, sembrerebbero più coerenti e avrebbero motivi validi per convincere gli italiani sulla validità delle obiezioni. Ma siccome, probailmente, reputano gli italiani degli avvinazzati non ci provano nemmeno, propinandoci, in cambio, leggi elettorali indecenti come questa in vigore.

WordPress Plugin Share Bookmark Email